rytzko Mascioni nasce a Villa di Tirano, in Valtellina, il 1° dicembre 1936, da famiglia originaria di Brùsio, nel Canton Grigioni. Trascorre l’infanzia e la prima adolescenza tra Valtellina, Engadina e Valle di Poschiavo, «in un ambito retico che forse non si esaurisce soltanto in una definizione geografica», ma rappresenta un ideale ancoraggio identitario cui l’autore rimarrà sempre fedele. Conseguita la maturità classica a Sondrio, frequenta gli studi di diritto presso l’Università Statale di Milano. Sono gli anni in cui, spinto da un’incessante curiosità intellettuale e dalla condivisa euforia degli anni del boom economico, stringe amicizie con alcuni dei protagonisti del mondo artistico e culturale milanese, si occupa di teatro e collabora a giornali e riviste settoriali. Nel 1960 realizza il documentario Siracusa viva nel tempo, in occasione della messa in scena al Teatro Greco, per la regia di Vittorio Gassman e Luciano Lucignani, dell’Orestiade di Eschilo, nell’innovativa traduzione di Pier Paolo Pasolini.
Affascinato dalle nuove frontiere del mondo della comunicazione, è tra i fondatori, nel 1961 a Lugano, della Televisione della Svizzera Italiana, per la quale produce numerose rubriche a carattere prevalentemente culturale (fra le altre Un uomo, un mestiere, Ritratti, Incontri, Occhio critico e Lavori in corso. Panorama di cultura internazionale), contribuendo in maniera decisiva, tra gli anni Sessanta e Settanta, al successo e alla diffusione dei programmi dell’ente radiotelevisivo luganese in un ambito geografico più vasto. Soprattutto grazie all’apporto di Mascioni, la TSI svolgerà un ruolo di punta in ambito europeo per quanto attiene alle trasmissioni culturali e dello spettacolo, e verrà adottata dall’utenza del Nord Italia quale voce più prossima e attendibile rispetto a una Rai ingessata e soggetta in maggior misura al controllo governativo. In qualità di dirigente, nel 1973 Mascioni diventa responsabile dei programmi dello Spettacolo e nel 1985 delle Relazioni Esterne, ed è tra gli ideatori, in omaggio alla sua vocazione transnazionale, della Comunità Radiotelevisiva Italofona. Gli incarichi direttivi non gli impediscono tuttavia di dedicarsi alla fiction cinematografica e televisiva. Dopo L’invito, un curioso lungometraggio con attori non professionisti che risente del clima della Nouvelle Vague francese e del cinema di Michelangelo Antonioni, presentato nella sezione informativa al Festival di Locarno del 1964, adatta per la televisione alcuni testi delle origini della narrativa italiana: Boccaccio & C., in tredici episodi introdotti da Vittore Branca. L’anno successivo, il 1980, è la volta di E Antigone sembrava così dolce, una trasposizione moderna del celebre mito, ambientata nel Luganese: tra i primi esperimenti in Europa di ripresa elettronica, l’opera viene selezionata nel 1981 alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia.
Conclusa l’esperienza televisiva, punteggiata da frequenti incursioni negli ambiti del teatro, del radiodramma, dell’editoria, della pubblicità, delle arti visive (Mascioni, oltre a esserne un appassionato cultore, è un valente disegnatore e grafico in proprio), nel 1992 è nominato dal Ministero degli Esteri direttore con statuto diplomatico dell’Istituto Italiano di Cultura di Zagabria. Sono gli anni delle guerre balcaniche, che hanno come principale epicentro il territorio della ex Jugoslavia, e la missione del nuovo addetto culturale si incentra sulla costruzione di una fitta rete di trame e di percorsi che allacciano anzitutto Italia e Croazia: incontri, convegni, mostre, traduzioni e pubblicazioni di opere degli scrittori dei due Paesi nelle rispettive lingue nazionali. Dal 1996, e per altri quattro anni, Mascioni allarga ulteriormente il raggio della propria azione, quale membro del Comitato per gli Studi Avanzati sul Mediterraneo presso il Centro Universitario Internazionale di Dubrovnik, dove si occupa, tra l’altro, di un progetto multilaterale che mira alla democratizzazione e allo sviluppo del Sud-Est europeo. Terminati gli incarichi assegnatigli dal governo italiano, si stabilisce a Nizza, e nella città francese si spegne il 12 settembre 2003, in seguito a una malattia. Le sue ceneri sono tumulate nella tomba di famiglia, a Villa di Tirano.
Come poeta esordisce precocemente, a soli 17 anni (Vento a primavera, Intelisano 1953), affiancando alla produzione in versi le traduzioni Da Saffo (1954) e la direzione della collana Lyrica presso lo stesso editore. Premiato nel 1968 ad Amalfi da Salvatore Quasimodo, venerato maestro di una poesia moderna che affonda i suoi motivi ispiratori nella classicità, pubblica successivamente, tra gli altri, Il favoloso spreco (Libreria Editrice Cavour 1968 e 1977), I passeri di Horkheimer (Pantarei 1969, Libreria Editrice Cavour 1978), Mister Slowly e la rosa (Belmont 1980), Poesia 1952-1982 (Rusconi 1984), La vanità di scrivere (Book 1992), Zoo d’amore (Book 1993) e il conclusivo Angstbar (Aragno 2003). I due volumi Poesie 1952-2003, editi da Aragno nel 2015 a cura di Simone Zecca, raccolgono l’intera opera in versi dell’autore. Sue liriche figurano in diverse antologie europee, mentre una parte significativa del suo lavoro è stata pubblicata in traduzione francese, croata e slovena. L’amore, il viaggio, il confine eletto a simbolo identitario e al tempo stesso segnale di un “altrove”: sono i temi principali con i quali si confronta la poesia di Mascioni nell’arco di un cinquantennio, e configurano un itinerario esistenziale, una sorta di mitologia privata che si manifesta attraverso una concezione classica del verso, che nella felicità della scrittura sembra animato da un perenne stato di grazia. «La sua produzione lirica, fine e delicata, votata alla natura e alla bellezza, è ricca di una certa angoscia che non riesce a travolgere l’insieme» (A. Zanzotto).
Incoraggiato da Vittorio Sereni, direttore editoriale della Mondadori e punto di riferimento imprescindibile per i poeti della cosiddetta “Linea Lombarda”, pubblica nel 1973 il suo primo romanzo, Carta d’autunno, «bilancio sentimentale di un amore o di più amori: meglio ancora di quella aggrovigliata emozione che è l’amore» (V. Sereni). La sorvegliata ricerca espressiva, ai limiti dello sperimentalismo, e la non comune attitudine introspettiva frutteranno all’autore, nello stesso anno, il Premio Inedito. La notte di Apollo (Rusconi 1990, finalista al Premio Strega) e Puck (Piemme 1996) proseguono il discorso, arricchendolo e collocando la vicenda del protagonista, un alter ego dello scrittore provato dagli anni, nella crisi collettiva di fine millennio. Postumo, a cura di Ernesto Ferrero, appare nei Tascabili Bompiani Tempi supplementari, il racconto autobiografico della malattia e della temporanea guarigione.
Saggista, si dedica prevalentemente allo studio della civiltà e dei miti della Grecia antica, ovvero «alle fonti del pensare europeo»: «nulla di noi sarebbe come siamo e ci riconosciamo – dall’articolazione del linguaggio politico o civile o artistico o culturale, fino al gusto dei loisirs estetici o erotici, del vagabondare turistico o dell’’accanirsi agonistico – se non si fosse come tale disegnato per la prima volta nell’antica Ellade», afferma Mascioni; «per essere, l’Europa deve rifarsi al suo antico start». Dopo Lo specchio greco (S.E.I. 1980, Oscar Mondadori 1990), affascinante viaggio nel tempo e nello spazio della classicità ellenica, con l’occhio e lo stile di un intellettuale del nostro tempo, appaiono quelle che la studiosa Maria Corti definirà come “biografie creative”: Saffo di Lesbo (Rusconi 1981, Bompiani 2003) e La pelle di Socrate (Leonardo 1991). Si tratta di ricostruzioni romanzate, anche se rigorosamente basate su fonti documentarie, delle vite dei due personaggi centrali nell’ideale pantheon mascioniano: la poetessa all’origine della lirica, colei che per prima ha osato e saputo dire “io”, e il filosofo asistematico dalle inquietanti interrogazioni.
Fra le altre sue opere occorre ricordare, per la narrativa, Cleopatra e una notte (Il Pardo 1981, Hefti 1996; con una nota di Vasco Pratolini), Di libri mai nati (Pro Grigioni Italiano – A. Dadò 1994) e le conversazioni radiofoniche raccolte sotto il titolo Un’estate mediterranea (RAI-ERI 1999); per i radiodrammi È autunno, signora, e ti scrivo da Mosca (Scheiwiller 1980) e La strega Orsina che non muore mai (Pro Grigioni Italiano 1982): il processo e la condanna della strega poschiavina Orsina de Doric nell’anno 1631 sono alla base di un apologo sulla violenza e l’intolleranza, che rinascono continuamente dalle loro ceneri; per i testi teatrali Vidi una luce. Mistero della Beata Ildegarda (Inchiostri Associati 2000), rappresentato a Bologna nel 1999, presso il complesso basilicale di S. Stefano, dal Teatro Poesia, per la regia di Silvana Strocchi. Infine la narrazione storico-documentaria sul lavoro negli impianti idroelettrici dell’Alta Valtellina Le acque e gli uomini. Il dovere della memoria (A.E.M. 2000, con Irene Tucci).
Testimoniano di una persistente fraternità e di un fertile dialogo tra le rispettive discipline le numerose edizioni di pregio, realizzate con artisti come Osvaldo Carrara (Il ferro), Hans Richter (Il bene raro), Sergio Emery (Lo spazio erboso), Giuseppe Guerreschi (An Maidon. Zum Schicksal der Religion), Luciano Minguzzi (La porta del bene e del male), Lydia Silvestri (Le poesie del giorno dopo), Eugenio Carmi (Eva in terra. «Candidi soles»), Lucio Battaglia, Maria Luisa De Romans, Ermanno Leinardi, Walter Valentini (Gold standard), Nag Arnoldi (L’unicorno, La cincia e il gatto, Zoo d’amore), Agostino Bonalumi (La casa del vento), Pierre H. Lindner (Adriatico. Città bianche del Sud).
Vincitore o segnalato di spicco in alcuni tra i più importanti premi letterari italiani ed europei (per l’opera complessiva riceve nel 1993 il Premio Internazionale Dubovica-Hvar e nel 2000 il Grand Prix Schiller), è chiamato a far parte di giurie letterarie, televisive e cinematografiche. Da non dimenticare l’impegno costante nella veste di promotore e organizzatore di iniziative culturali, tese a integrare l’attività di scrittore con un lavoro sul campo aperto e partecipato. Oltre agli incarichi cui si è fatto cenno, ricopre per due mandati la carica di presidente dell’ASSI (Associazione degli Scrittori della Svizzera Italiana) e del PEN Club della Svizzera Italiana e Retoromancia: presiede nel 1987 il 50° Congresso Mondiale del PEN Club International, dedicato a “Scrittori e letterature di frontiera”, e conclusosi con la “Dichiarazione di Lugano”, approvata dall’assemblea dei delegati e adottata dai 145 Centri PEN nel mondo, che fa appello alla libertà di espressione e ai diritti delle minoranze linguistiche.